Una serie di interventi di riqualificazione urbana che costerebbe alle casse dello Stato da 1 a 3 miliardi di euro, ma con un rientro pari al doppio del costo dell’investimento. Secondo uno studio di Ennio Forte, docente di Economia dei Trasporti della Logistica presso la Federico II di Napoli, che sarà presentato a Roma da Svimez il prossimo 18 febbraio, l’utilizzo dei lavoratori cassintegrati in deroga abbatterebbe non solo il costo del lavoro, ma incentiverebbe le imprese delle costruzioni ad inserire il tale personale inoccupato in un contesto produttivo potenzialmente strategico ai fini dello sviluppo del Mezzogiorno. Nel 2014, infatti, la cassa integrazione in deroga è arrivata a costare in Italia 3 miliardi di euro all'erario.
Una cifra enorme per le casse dello Stato.
“Nel nostro Paese -afferma Forte- manca una cultura che intenda la logistica come un settore che produce ricchezza, come le attività di trasformazione dei prodotti, magazzinaggio, assemblaggio, controllo qualità, etichettatura, confezionamento e imballaggio. Un ventaglio di attività che possono arrivare a incidere sul prezzo del prodotto finale, in alcuni casi, fino al 70%”. Da tempo, Inghilterra, Olanda, Cina e Brasile sostengono più i servizi logistici che le produzioni di beni. “In Cina la logistica pesa sul Pil totale per il 10%, in Italia, invece, il costo della movimentazione delle merci è superiore dell'11% della media europea e arriva a pesare circa 40 miliardi di euro in più a bilancio. Questo perché la stragrande maggioranza delle piccole e medie imprese italiane non ricorre a servizi di questo tipo e si limita a non curarsi del prodotto una volta esportato”.Sviluppare servizi e filiere logistiche nei retroporti, specialmente nel Mezzogiorno, permetterebbe di sfruttare meglio il vantaggio geografico del Paese, al centro delle direttrici internazionali tra l’Europa e l’Africa, e tra il Mediterraneo e l’Estremo Oriente. Ma come attuare la rivoluzione logistica?
“Attraverso interventi di bonifica e rigenerazione delle aree industriali dismesse da oltre venti anni e inserite nei retroporti. In questo modo, la merce acquisterebbe il proprio valore commerciale e riesportata via mare oppure, sfruttando la presenza di un centro intermodale, instradata per ferrovia o autostrada verso i mercati di destinazione nazionali o europei”.Dalla riqualificazione delle aree industriali retroportuali di Napoli, Salerno, Catania, Taranto, Messina, Termoli, Torre Annunziata e Gioia Tauro potrebbe avvantaggiarsi più direttamente il Mezzogiorno, in quanto questi territori potrebbero candidarsi ad accogliere il rientro delle filiere produttive nazionali attualmente delocalizzate all’estero.
Le aree interessate a tali interventi permetterebbero di potenziare le attività economiche nell'area Napoli-Caserta nei settori dell'aviospazio e agroindustria; mentre nel retroporto Nocerino-Torrese-Stabiese-Sarnese del porto di Torre Annunziata e di Salerno si concentrerebbero le attività della filiera agroindustriale dell'area di Salerno-Benevento-Basilicata-Alta Calabria. E così per Gioia Tauro. In Sicilia gli interventi di rigenerazione portuale potrebbe interessare l'area vasta Reggio Calabria-Messina, nel retroporto di Catania le attività legate all'agroalimentare e ai prodotti dell’High tech, così come nel retroporto di Taranto-Potenza-Matera-Lecce.
Concentrato invece su automotive e industria, il retroporto della zona industriale di Termoli, riferito all'area vasta Pescara-Isernia-Vasto-L'Aquila. Eduardo Cagnazzi
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