“Food Waste”, ovvero spreco alimentare: una tematica di grande attualità presso l’opinione pubblica e di grande interesse per le Istituzioni - Unione Europea in primis - chiamate a dare risposte concrete a una crisi che ha messo in ginocchio le economie nazionali e di fronte alla
quale la parola d’ordine è diventata “razionalizzazione di risorse”. Eppure continuiamo a sprecare quantità enormi di cibo: secondo le stime FAO oltre il 30% della produzione totale di cibo destinata al consumo umano viene dispersa lungo la filiera agroalimentare e diventa rifiuto.
In Europa si parla di 90 milioni di tonnellate di cibo sprecate ogni anno: 8,8 milioni di tonnellate solo in Italia. Se si guarda alla fase della distribuzione, secondo una ricerca condotta da Last Minute Market (spin off dell'Università di Bologna divenuto eccellenza europea nella lotta allo spreco alimentare) sulla quantità di cibo “gettato via” da parte dei mercati all’ingrosso e della moderna distribuzione, in Italia ogni anno vengono sprecate oltre 260 mila tonnellate di prodotti alimentari, il 40% dei quali è costituito da prodotti ortofrutticoli.
Al livello del consumatore finale, gli sprechi raggiungono valori ancora più allarmanti: ogni famiglia spreca in media una quantità di cibo del valore di 454 euro all’anno (il 16% di questo spreco è costituito da prodotti ortofrutticoli).
Ecco allora che, unitamente alla “Spending rewiew”, in quest’epoca di razionalizzazioni sarebbe opportuno mettere in piedi anche una “Wasting rewiew”, una rivoluzione economica e sostenibile per ridurre gli sprechi nella filiera alimentare. Come è possibile? Sviluppando comportamenti più attenti e sensibili, anche nel consumo, ma soprattutto lavorando sulle inefficienze del sistema produttivo e distributivo, e in particolare sugli aspetti che condizionano la cosiddetta “shelf life” del prodotto, ovvero il periodo oltre il quale esso non può essere venduto e consumato (come indicato per legge dalla data di scadenza).
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