Una fotografia dell’area di Porto Marghera dall’alto consentirebbe oggi ad un occhio esperto di riconoscere il persistere dei tratti infrastrutturali di una delle più grandi aree portuali-industriali europee di sempre (1447 ettari di aree operative portuali e industriali - più altri 662 ettari di canali,
specchi d’acqua, strade, ferrovie e altre servitù - servite da 12 chilometri di banchine attive, raggiungibili da navi con pescaggi fino a -11.5 metri ed articolate in decine e decine di lotti, tutti dotati di raccordi stradali e di 135 km di raccordi ferroviari.
Un confronto della foto odierna con una degli anni ’70 – della Marghera della petrolchimica e della metallurgia di base che aveva superato i 33.000 occupati - consentirebbe invece di constatare la pervasività del cambiamento intervenuto, con lotti oggi abbandonati, che giustificano la retorica del polo industriale vicino alla dissoluzione o dell’area perduta per la difficoltà di bonificarla, ma con altri lotti ritornati operativi.
Germogli di un nuovo corso che fa intravvedere crescita di pil e occupazione in loco o in un più ampio contesto regionale, nazionale ed europeo servito dalle attività oggi insediabili a Marghera.
E se incuriositi dalla foto ci si avvicinasse fisicamente alla porto Marghera di oggi si constaterebbe che (2014) sono pari a 1.034 le aziende ivi operanti per un totale di 13.560 addetti, in crescita di un migliaio di unità rispetto al 2013, ma scoprendo che non vi sono più gli oltre 13.000 occupati nella petrolchimica di base o gli oltre 6.000 della metallurgia di base.
Oggi, entro l’ambito di porto Marghera, si possono incontrare 4.220 addetti ad attività portuali, 1.580 addetti ad attività industriali portuali, 1.466 addetti in attività industriali e 1.198 in altre attività di interesse portuale.
In ogni caso ci si renderebbe conto di essere di fronte ad una metamorfosi disordinata, caotica, casuale. Ma non potrebbe essere altrimenti perché sono quasi 17 anni - dalla firma dell'accordo di programma per la chimica a porto margheradel1998 - che le attività portuali e industriali lì insediatevivono entro un quadro di "confusione strategica".
L’accordo del 1998 aveva enunciato una serie di buoni propositi sia sul fronte ambientale sia su quello produttivo. Ma si fondava sull’ipotesi di concedere alla petrolchimica veneziana un ulteriore ciclo di investimenti di base (simboleggiato dal raddoppio del cracking), solo all'esaurirsi del quale (venti anni dopo) il modello incentrato sulle industrie di base a filo di banchina - quello che aveva portato porto Marghera ad oltre 33.000 occupati diretti nel 1965 - si sarebbe considerato superato.
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