martedì 14 luglio 2015

Il sistema Paese “deprime” il settore autotrasporto

La CNA-Fita, nata nel 1974 per tutelare, assistere e rappresentare i propri associati, lo fa ininterrottamente da oltre 40 anni. Da allora rappresenta operatori sia del trasporto persone quanto del trasporto merci. Oltre 26 mila le imprese associate nell’autotrasporto di cose per conto di terzi dell'artigianato e della piccola e media impresa e le loro forme organizzate come consorzi e cooperative. Le imprese associate operano principalmente nel trasporto per conto di terzi dai prodotti industriali a carico completo, ai trasporti di prodotti agroalimentari, al trasporto petrolifero e chimico, ovvero a tutti i settori del trasporto su gomma, oltre che nelle attività complementari e sussidiarie al trasporto delle merci. Il momento attuale sembra relegare l’autotrasporto all’ultimo posto della filiera della logistica, complice la politica italiana che deprime il settore generando costi operativi spesso fuori mercato europeo. Un quadro d’insieme di queste problematiche ci viene offerto da Cinzia Franchini, Presidente nazionale CNA-Fita, in questa intervista rilasciata a PORTO&diporto.

Il Governo si muove nella direzione di dare un giusto peso alla logistica nel contesto economico-produttivo nazionale. Quale la percezione del settore Autotrasporto?
Ci auguriamo sia la volta buona! La filiera logistica è molto complessa e articolata nei soggetti, nei ruoli e nei problemi che la animano. Un problema su tutti è la spasmodica tentazione di gestirla sempre e solo attraverso la contrazione dei costi: al ribasso. In Italia purtroppo siamo molto distanti dall’approccio che in altri Paesi consente di valorizzare le professionalità e le competenze di una filiera così strategica per le economie moderne. Il punto di vista dell’autotrasporto è quello più distante perchè costretto in fondo a questa catena e soprattutto depresso da un “sistema Paese” che gli impone costi operativi assolutamente fuori mercato e in media molto più alti che in altri Paesi Europei. Carburante, pedaggi, assicurazioni per non parlare poi del costo del lavoro. Tutto da noi costa di più che altrove. A questo si aggiungono una serie di carenze o mal funzionamenti infrastrutturali che ci mantengono, per esempio, tra i Paesi con la velocità commerciale più bassa d’Europa.
In relazione al Piano Nazionale della Logistica e dei Porti quali le lacune e quali i suggerimenti migliorativi?
Più che un suggerimento servirebbe un principio guida che in Italia dovrebbe valere sempre: non disperdere, semplificando. Di Piani della Logistica ne abbiamo avuti fin troppi e ci sono costati una fortuna. La politica fa bene a scegliere pochi porti sui quali investire e soprattutto quelli giusti per concentrare, migliorando, la gestione dei flussi commerciali. Lo stesso su tutto il resto: interporti ed aeroporti. La coperta è così corta che continuare a sperperare risorse sarebbe pura follia di cui beneficerebbero pochi a discapito di un Paese intero.
Nel testo del Piano si “legge” più centralità e meno territorio. Scelta condivisibile?
Territorio e Nazione debbono comprendere che le strategie logistiche sono continentali ed internazionali. Non possiamo prescindere da una visione che deve tener conto di dove vengono realmente progettate e concordate le rotte commerciali. Il resto segue e si chiama sburocratizzazione, costi operativi di mercato, capacità di attrarre e organizzare operatori. Una regia centrale aiuta e il territorio non potrà che goderne dovendo necessariamente accettare un approccio glocal alla logistica. Credo che chi oggi intende dividersi su una simile semplificazione lo fa perché portatore di interessi particolari e di certo non improntati al recupero di competitività.
mdc

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