Non più solo fabbriche del mondo ma piazze di esportazione per la produzione di alta qualità griffata made in Italy. Dopo moda e design cresce nelle economie asiatiche la voglia di tricolore a tavola. Con Hong Kong a recitare la doppia parte: ricco mercato di consumo e piattaforma di lancio verso il Pearl River Delta, regione industriale con i più alti livelli di reddito e di potere di acquisto in Cina. Un’opportunità importante per la filiera agro-alimentare nostrana al centro del seminario “Hong Kong: la nuova frontiera del food and wine”, tenutosi recentemente a Parma. Ne parliamo con Riccardo Fuochi, presidente di Confapi Export, organizzazione la cui missione è l’assistenza nei processi di internazionalizzazione delle PMI e dei
Consorzi Export aderenti a Confapi (94 mila imprese manifatturiere con circa 900mila lavoratori rappresentati).
Perché Hong Kong rappresenta un’opportunità?
Si tratta innanzitutto di un grosso mercato. Ai sette milioni di abitanti dell’isola, caratterizzati da un alto potere di acquisto, vanno aggiunti i circa 50 milioni di visitatori che annualmente vi giungono per motivi di affari o turismo. Tutti consumatori che propendono decisamente verso uno stile di vita occidentale. Inoltre, è qui che si formano le tendenze del consumatore cinese. Un prodotto di successo ad Hong Kong sarà ritenuto il prodotto giusto, quello di riferimento anche in Cina.
Come si posiziona la produzione italiana in questo mercato?
È una presenza numericamente rilevante ma che soffre di una scarsa penetrazione. Le vendite di vino italiano, faccio un solo esempio, raggiungono appena il 3% del totale; una percentuale stabile negli ultimi anni pur in presenza di un discreto aumento in termini assoluti. Purtroppo scontiamo cronici problemi nei canali della distribuzione internazionale oltre alla difficoltà ad affermare brand riconoscibili. Se è vero che i prodotti italiani rappresentano il top della gamma è altrettanto vero che la nostra cucina è caratterizzata da una varietà fin troppo ampia per essere facilmente recepita. Il successo dell’industria vinicola francese nasce da una scelta precisa: l’identificazione del prodotto d’oltralpe con marchi universalmente identificabili, come nel caso del Bordeaux.
Da dove nascono queste difficoltà?
La dimensione dell’impresa, in mercati dove i costi sono rilevanti e gli investimenti difficili, conta moltissimo. La problematica principale per il tessuto delle PMI italiane sta nella difficoltà ad organizzarsi in sistema. Per abbassare i costi bisognerebbe creare sinergie, aggregarsi in gruppo, fare massa critica. Scegliere di strutturarsi, sfruttando tutti gli strumenti di assistenza e finanziamento messi a disposizione da enti e associazioni.
Quale ruolo svolge Confapi Export in questa direzione?
Il nostro obiettivo principale è assistere il processo di internazionalizzazione delle imprese, affiancandole anche nella ricerca di partner, nell’organizzazione di attività promozionali efficaci che non si limitino alla missione commerciale di pochi giorni o alla fiera. In quest’ottica lanceremo a breve un progetto in Cina per la creazione di uno spazio permanente, uno showroom collettivo di prodotti italiani che vedrà la partecipazione di diverse aziende: un unico punto che si autofinanzierà con i proventi derivanti dalla vendita diretta.
Giovanni Grande
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