Marco Simonetti |
Così risponde alle sollecitazioni di chi, accantonata la retorica della “piattaforma” al centro del Mediterraneo, propone di rimodulare la strategia complessiva della portualità italiana a discapito di scali come Gioia Tauro, Cagliari e Taranto.
Come giudica l’idea emersa da più parti di un ridimensionamento progressivo del transhipment?
Ci sono tre buoni motivi per affermare che la partita sul transhipment l’Italia non si può permettere di perderla. C’è il mercato dello shipping il cui modello di sviluppo prevede navi sempre più grandi ed una concentrazione dell’offerta di trasporto che si traduce in un uso sempre più spinto dei grandi hub quali nodi strategici del commercio mondiale. C’è poi il fattore economico, con porti come Gioia Tauro, Cagliari e Taranto, dove pubblico e privato hanno investito miliardi di euro, che trattano poco meno del 50% di tutti i container movimentati in Italia, dando lavoro e reddito a oltre 9000 famiglie in regioni del Sud con alto tasso di disoccupazione e basso reddito pro-capite. Infine, c’è un fattore strategico. I porti con le infrastrutture più sviluppate in termini di banchine, piazzali, fondali e macchinari sono proprio i porti hub. La loro attività non è legata direttamente ai bassi tassi di crescita italiani ed europei ma a quelli decisamente superiori di altri paesi, siano essi emergenti, come quelli del Nord Africa, o con economie ad alto tasso di esportazione come la Cina, l’India e, per alcuni settori, le Americhe. Tutto ciò senza dimenticare un ultimo aspetto fondamentale che riguarda direttamente l’Europa ed il rischio di marginalizzazione dei traffici solo sugli hub non comunitari. Mi piacerebbe sapere quanti vorrebbero avere il controllo del proprio rubinetto dell’acqua direttamente nella casa del vicino!
Giovanni Grande
(leggi l’intervista completa su PORTO&diporto Luglio 2014)
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