lunedì 9 giugno 2014

Salerno ha “fame” di spazi, scelta retroporti obbligata

Il recente approdo della nave Virginia, nell’ambito del servizio di Hapag Lloyd di collegamento diretto con il Golfo Usa e Messico, ha permesso a Salerno di tagliare l’ennesimo traguardo. La full container della compagnia tedesca, 300 metri di lunghezza, è la prima unità nel range di
capacità 5mila/6mila Teu mai approdata nello scalo. Segno di un ulteriore consolidamento dei traffici per una realtà relativamente piccola ma in grado ottimizzare e valorizzare al meglio le proprie risorse. Un successo che ha allontanato le ombre pesanti della crisi dei traffici ma non impedisce al presidente dell’Ap, Andrea Annunziata, di guardare oltre. E di tratteggiare le coordinate entro cui orientare le strategie future, in un’ottica che contempla nuovi spazi retroportuali, maggiore capacità decisionale, integrazione territoriale e sburocratizzazione.
Il porto di Salerno ha “fame” di spazi?
Non c’è dubbio che la questione retroportuale investa in pieno il futuro dello scalo. Ad oggi abbiamo quasi raggiunto un livello di saturazione e la realizzazione dei Grandi Progetti renderà possibile la presenza di più navi e di maggiori dimensioni. Nasce, dunque, l’esigenza di guardare ai territori interni per dotare le banchine di aree che non sono più disponibili. La nostra idea progettuale guarda verso l’agro nocerino sarnese, la valle dell’Irno, la piana del Sele: zone spente dal punto di vista industriale, con alti livelli di disoccupazione, che potrebbero essere recuperate e messe a disposizione di un servizio di trasporti veramente integrato.
Quali sono gli ostacoli?
Innanzitutto, la lentezza dei tempi. Se il collegamento con le aree interne avverrà nell’arco di 15-20 anni rischieremo l’estinzione. Nel breve periodo si può anche sopravvivere ma sul lungo abbiamo bisogno di infrastrutture valide. Il container o qualsiasi tipo di merce va dove il territorio lo richiede, dove si creano le condizioni per la sua movimentazione. In mancanza di risposte gli investimenti andranno altrove. E qui si arriva all’altro problema: la mancanza di sedi di riferimento dove poter fare programmazione. Un modello da seguire sarebbe quello delle conferenze dei servizi, con Autorità portuali, Camere di Commercio ed enti locali messi nelle condizioni di poter determinare davvero le funzioni dei territori.

Giovanni Grande
(leggi l’intervista complete su PORTO&diporto Giugno 2014)

Nessun commento:

Posta un commento