martedì 3 febbraio 2015

RIZZOLI - La vera storia di una grande famiglia italiana


Io sono stato un uomo fortunato. La mia fortuna la debbo innanzitutto al fatto di essere nato povero e questo mi ha dato una certa comprensione dei fatti della vita…” (Angelo Rizzoli) I cugini Nicola
Carraro – figlio di Pinuccia Rizzoli - e Alberto Rizzoli – figlio di Andrea Rizzoli - raccontano per la prima volta la storia della loro famiglia, offrendo un racconto allo stesso tempo privato e pubblico attraverso un lungo periodo, dalla fine degli anni quaranta ad oggi. Il periodo raccontato coincide soprattutto con l’epoca d’oro della Rizzoli, di cui gli autori sono stati diretti protagonisti, un caso di successo dell’imprenditoria lombarda unico nel suo genere.

Oggi, a mente fredda, i due cugini raccontano il Commenda - come veniva affettuosamente chiamato il nonno Angelo Rizzoli - da una prospettiva rigorosamente privata, con leggerezza e ironia, ma senza nascondere l’amarezza per una storia familiare che ha conosciuto anche momenti drammatici. Angelo (1889-1970), fondatore della casa editrice che porta ancora oggi il suo nome, era nato povero, cresciuto orfano dai “Martinitt” a Milano, ed è morto miliardario. Fu un pioniere, un innovatore: fu il primo a lanciare i rotocalchi femminili e d’informazione destinati a un largo pubblico, i settimanali d’inchiesta e approfondimento; pubblicò scrittori di qualità come Giovanni Arpino, Alberto Bevilacqua, Ennio Flaiano; offrì il sapere a poco prezzo con i “libriccini” della BUR. Ma non si fermò all’editoria: finanziò e produsse decine di pellicole di successo, segnando il debutto di molti attori diventati poi famosi, investì nel polo termale di Ischia facendovi costruire alberghi, case, un ospedale e attirando sull’isola di Ischia il turismo vip mondiale.

Tanti i racconti familiari e i ritratti del Commenda tracciati dai due autori: fin dagli inizi si appuntava sul retro del pacchetto di sigarette il bilancio della Rizzoli, rigorosamente in matita verde, perché allora non la voleva nessuno e costava di meno; dedicava tutta la vita al lavoro, ma ogni domenica mattina tornava dall’ufficio preceduto da un mazzo di rose rosse per la moglie Anna, che restò sempre la donna della sua vita, pur consapevole delle scappatelle del marito con bellissime donne; Angelo Rizzoli amava giocare al casinò, anche se ci perdeva milioni: forse lo faceva per pagare il suo debito con la fortuna, che riteneva essere la principale responsabile del suo successo, come scrisse Oriana Fallaci.

Spesso raccontava l’episodio di quando, uscito dall’orfanotrofio con i pochi soldi ricevuti comprò una piccola macchina da stampa, una “pedalina”, che trasportò a piedi per la città su un carrello. Nel tragitto ad un certo punto il carico si inclinò, ma la pedalina non cadde: il Commenda diceva che se fosse caduta sul selciato la carriera del tipografo Rizzoli sarebbe finita lì. Angelo Rizzoli muore nel 1970, all’apice del successo e della ricchezza, senza assistere alla fine del suo impero.

Tre anni dopo la scelta imprudente di suo figlio Andrea, rimasto alla guida della casa editrice, di acquistare il Corriere della Sera a quelle condizioni e in quel momento storico segna l’inizio di una serie di scelte strategiche sbagliate che portano alla divisione della famiglia. “Non fate debiti con le banche, vogliatevi sempre bene e rimanete uniti fra voi” scrisse il Commenda al termine del suo testamento: è successo esattamente il contrario.

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