giovedì 9 maggio 2013

Unity in diversity: the future cultural and economic bridge on the Mediterranean

Convegno 24 maggio 2013, Napoli – Castel dell’Ovo


Il tema del convegno, deciso dal consiglio direttivo del Propeller Club di Napoli, è il frutto di una mia domanda, da alcuni amici definita abbastanza provocatoria:
Pensate che si possa costruire un ponte economico e culturale tra i paesi del Nord e del Sud Mediterraneo per farvi transitare un progetto mediterraneo al quale ciascun paese partecipa con le proprie diversità ma in una visione di valori comuni?
Non vi è dubbio alcuno che, se ci riferiamo al passato ed al consuntivo delle cose fatte dalle generazioni degli ultimi decenni, la risposta è inesorabilmente negativa.
Sulla centralità del Mediterraneo si sono tenuti troppi convegni ed incontri diplomatici. Tante belle parole che non servono per sostanziare questa sempre invocata centralità.
Non si può negare che su questo tema l’Europa si è sempre posizionata come attore principale e, in particolare, come tutore di un sistema economico e culturale e quindi di un concetto unico di democrazia che i paesi della sponda Sud del Mediterraneo avrebbero dovuto importare e trapiantare, estirpando ed annullando le loro identità e le loro tradizioni.

Ed è altrettanto innegabile che questo sistema unico è stato rifiutato con reazioni talvolta violente ed incontrollate. La diversità dei sistemi sociali, culturali, religiosi e politici è stata la motivazione di proteste e rivolte che hanno avuto l’effetto di contrapporre in modo radicale le due sponde con conseguente fallimento di quei movimenti che proponevano all’Europa nuove forme di convivenza pacifica e di cooperazione sociale ed economica.
Con la crisi economica che tutt’ora affligge gran parte dell’Europa, la centralità del Mediterraneo è poi diventata un semplice slogan. Anche perché questa crisi ha fatto esplodere tutte le contraddizioni economiche e sociali, prima latenti, tra i paesi nord-europei e quelli sud-europei. Con la conseguenza che, se prima vi era una questione mediterranea, ora ribolle anche una questione meridionale.
Economisti e politici ci spiegavano ed insegnavano che i paesi del meridione europeo, nonostante le loro

diversità culturali e sociali

ed i loro diversi e più deboli sistemi produttivi, potevano e dovevano uniformarsi al modello di sviluppo degli altri paesi europei, adattandosi alla auspicata e perseguita globalizzazione ed alla conseguente omologazione dei principi del libero mercato.
L’armonizzazione, ovviamente, è rimasta una chimera, le diversità sono diventate incompatibilità e la debolezza dei sistemi produttivi ha reso il meridione europeo sostanzialmente subalterno ai paesi nordici e tenuto in vita in modo quasi assistenziale dalle risorse comunitarie. Ma il

meridione europeo


ha, a sua volta, un suo meridione, quello italiano dove si assiste passivamente all’inarrestabile depauperamento delle ricchezze tradizionali, al declino della millenaria cultura ed al lento ma inesorabile disfacimento delle istituzioni.
Tutto ciò è il miserevole panorama che ci compare se ci soffermiamo sul passato e sul fallimento delle vecchie generazioni. Cosa vorrà e potrà fare la nuova generazione, vi è ancora una speranza nel futuro ?
Andiamo sull’altra sponda del Mediterraneo per vedere come vanno le cose in quei paesi.

Il 17 dicembre 2010 un giovane venditore ambulante è aggredito dalla polizia tunisina. Gli sequestrano frutta e verdura e lo minacciano. Il ragazzo resiste e la polizia lo picchia e gli sputa in faccia. Per protesta e disperazione il ragazzo si dà fuoco ed il giorno dopo muore. Non era  un folle e neppure un poveraccio senza arte e mestiere. Si chiamava Mohamed Buazizi, era laureato e vendeva frutta e verdura. In attesa di un lavoro e di un futuro premianti, sapeva vivere la povertà in modo dignitoso. Ma gli sputi in faccia gli hanno portato via anche la dignità.
La nuova generazione accetta la povertà ma non quella priva di dignità. Il gesto estremo di Mohamed è la scintilla in una polveriera. Scoppia la rivolta tunisina ed inizia la

primavera araba.


Le proteste e le rivolte si allargano a tutta la sponda nord-africana. La rivolta tunisina è stata una rivoluzione sostanzialmente pacifica. Le cose sono andate diversamente in Egitto ed in Libia. Asma Mahfouz è una ragazza egiziana di 26 anni, lavora e collabora con un movimento giovanile che si oppone al regime e chiede riforme e cambiamenti radicali. L’impegno politico le crea problemi. E’ spiata e minacciata e la polizia la ferma durante un volantinaggio e chiede al suo capo di licenziarla.
Il 18 gennaio 2011 Asma è stanca ed è assalita dalla paura di non farcela. Monta la rabbia e si trova a registrare sul telefonino e poi mettere su You Tube un video:
Voglio darvi un messaggio. Io andrò a Piazza Tharir il 25 gennaio: se avete onore, venite anche voi. Chi rimane a casa sarà colpevole. A quelli che sostengono che le donne non dovrebbero manifestare perché possono essere picchiate, dico: venite in piazza a difenderci. Fino a quando direte che non c’è speranza, non ci sarà speranza. Ma se venite con noi ci sarà speranza.
Il videomessaggio è visto da 200.000 persone. Il 25 gennaio 2011 piazza Tahrir è piena di uomini e donne, è un vulcano che alla fine esplode. Inizia la primavera egiziana e finisce l’era Mubarak. Non finisce invece lo Stato di polizia con i tribunali speciali. Asma Mahfouz si è poi dovuta difendere innanzi a una Corte militare. L’esercito si è assegnato i privilegi di sempre ed il compito di garantire l’ordine pubblico.

Eppure, in questa primavera incompiuta vi sono oggi alcune realtà che guardano verso il futuro: la popolazione nordafricana è sempre più giovane; la donna rivendica la parità dei diritti; il processo di urbanizzazione è diventato irreversibile; vi è una forte domanda di tradizione moderna e di dialogo interculturale; i nuovi mezzi di comunicazione e l’attività dei social network favoriscono la formazione di una coscienza di massa ed un rivoluzionario dialogo con i social network dell’altra sponda del Mediterraneo.
L’elevato livello di istruzione determina la diffusione di un associazionismo civile che a sua volta spinge per una forte partecipazione sociale e politica. In Tunisia, all’esito delle elezioni della assemblea costituente, nel novembre 2011 sono state elette 49 donne.

Il 7 aprile 2013 si è tenuto a Marsiglia il primo vertice dei Parlamenti dei Paesi che fanno parte dell’Unione per il Mediterraneo. La premessa di questo vertice è stata che
 la UE non può lasciarsi sfuggire l’opportunità storica offerta dalla Primavera araba per promuovere i suoi interessi e i suoi valori.
Fatta questa premessa, non vi è da sorprendersi se il vertice si è concluso con una sola mini proposta, anzi con un appello per la creazione di una banca di sviluppo per il Mediterraneo e con la solita retorica conclusione:
E’ necessario rinsaldare il legame tra i cittadini delle rive del Mediterraneo per rispondere alle preoccupazioni comuni.
Il vertice di Marsiglia ha però preso atto dei cambiamenti profondi che sono in corso nei paesi nordafricani e che ora impongono il coinvolgimento di nuovi interlocutori, i Parlamenti e la società civile. Si intravede una nuova strategia con un rapporto paritetico. Ma questa strategia risulta poi contraddetta da chi vuole spiegare ai nuovi interlocutori come noi abbiamo costruito l’UE e come si può arrivare ad una costituzionalizzazione democratica di questi Stati.
Il documento finale del vertice, dopo la enunciazione di principi, propone un decalogo di azioni necessarie per

la creazione di uno spazio euro mediterraneo della formazione professionale, dell’insegnamento universitario, della scienza e della ricerca.

Ebbene, se questi bei progetti sono immaginati sulla falsariga di un’unica esperienza, quella europea, ignorando o respingendo le diversità sociali, culturali, religiose ed economiche dell’altra sponda, resterebbe confermato che fin quando il pallino è nelle mani della vecchia generazione, continueranno a mancare i necessari presupposti per un dialogo. Il progetto Mediterraneo presuppone la realizzazione di un ponte tra le due sponde, ed il ponte presuppone che i paesi delle due sponde ne condividano quanto meno gli elementi essenziali. Devono essere promossi interessi e valori comuni e non i propri interessi ed i propri valori.
Ho detto prima che in Europa vi è una questione meridionale. Ma ora ne devo aggiungere un’altra, la questione del

Meridione d’Italia


schiacciato tra due realtà: è un meridione che si sente europeo e vuole essere europeo ma, nel contempo, per le sue specifiche diversità non può uniformare il proprio sviluppo ad un modello unico imposto dall’Europa.
Il Mezzogiorno ha una storia che ha le sue origini nel Mediterraneo.

Le sue diversità nascono dalle sue origini

e non ha senso pensare che possa smettere di essere Mediterraneo. L’essere Mediterraneo vuol dire avere una economia mediterranea, le tipiche risorse mediterranee quali il territorio, l’ambiente, i beni culturali, il turismo, la struttura familiare. Tutto ciò è incompatibile con la modernizzazione globale e comporta che non sarà sufficiente una politica di investimenti per istruzione, formazione, ricerca, innovazione, e sistemi produttivi qualora una tale politica non dovesse tener conto di uno specifico modello di sviluppo che si riflette sui principali snodi:

ambiente, territorio, società civile, economia ed istituzioni.


Ebbene, se il meridione del meridione europeo è Mediterraneo, è evidente che il Mezzogiorno d’Italia è la sponda europea ideale per interagire con quella nordafricana. Senza rinunziare ai valori europei e riaffermando le sue diversità, è nelle condizioni più favorevoli per avviare, sulla sua sponda, la costruzione di quel ponte culturale ed economico con i paesi dell’altra sponda i quali, a loro volta, dovranno contribuire alla realizzazione con le loro diversità ma in una visione di valori comuni.
Fino a quando direte che non c’è speranza, non ci sarà speranza,
urlava Asma Mahfouz. Io aggiungo che senza quel ponte il Mediterraneo sarà soltanto una espansione geografica.
Bruno Castaldo

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